Sunday, 31 October 2010

Cari amici, lo scorso venerdì pomeriggio ho avuto l'occasione di potermi "gustare" la città alta in tutto il suo fascino autunnale: a passeggio per le vie ma soprattutto lungo le Mura è stato un tripudio di colori, dall'arancio al marrone intenso, passando per tutte le tonalità intermedie, accompagnati al tempo stesso dal piacevole scricchiolio delle foglie secche calpestate dal mio gruppetto di turisti. Accompagnavo infatti i soci di un'azienda che, grazie alla scelta lungimirante del suo presidente e del suo responsabile commerciale, si sono dati appuntamento nella nostra città per festeggiare i loro dieci anni di attività. Abbiamo passato insieme un bel pomeriggio, prima di dedicarci ad una degustazione di vini avvenuta in provincia.

Monday, 23 August 2010

Cari amici, ecco il resoconto dei miei ultimi tre giorni passati in Città Alta: venerdì mattina 20 agosto ho accompagnato un simpatico gruppo di polacchi alla scoperta di Bergamo; si respirava già festa di S. Alessandro, il nostro patrono, che verrà festeggiato il prossimo giovedì 26 agosto. Come sempre accade sono rimasti entusiasti della città, complici forse anche il clima abbastanza fresco e la calma del venerdì mattina. Tra una chiesa e un monumento ho avuto modo anche di spiegare e mostrare alcuni oggetti tipici utilizzati dalle nostre massaie: macchina per la polenta, grattugia in legno, mortaio per il pesto...

Il sabato mattina ho avuto un minigruppo tra cui una simpatica signora scozzese che vive da tempo in Polonia e che è molto affezionata a Bergamo, tanto da esserci tornata già per la terza volta... Ieri invece ho assistito con piacere alla visita guidata "La Cappella Colleoni... dopo Bartolomeo Colleoni"nell'ambito di Bergamo Estate: la mia collega Rosalba, anche lei come me guida turistica di Bergamo Su & Giù, ci ha dilettato per oltre un'ora raccontandoci alcuni fatti curiosi avvenuti dopo la morte del nostro condottiero Bartolomeo Colleoni, approfittando della bellissima Cappella per illustrarne le parti meno conosciute.

Elisabetta


Sunday, 22 August 2010

Vita in Città Alta 2

Noi abitanti di Città Alta la si chiamava in realtà Piazza della Funicolare: e come poteva essere altrimenti?

Ci consideravamo dei privilegiati a poter godere quotidianamente di quel mezzo di trasporto: i sedili in tinta con le carrozze, e le carrozze di un colore tra il nocciola e il giallo ocra, ciascuna con capacità di 40 persone massimo. La partenza e l’arrivo erano sempre un po’ brusche, e bisognava stare attaccati alla mamma per non cadere. Ma indubbiamente la piazza era caratterizzata dal pullulare di attività commerciali, oggi quasi tutte scomparse. 
Appena fuori dalla funicolare c’era la stiratrice: d’estate la porta era naturalmente aperta, ed io temevo, passando di lì per andare in drogheria, in Via Porta Dipinta, che un giorno o l’altro la nuvola di vapore dei potenti ferri da stiro mi avrebbe avvolto e portato via per sempre! Il negozio era leggermente rialzato rispetto al livello della strada, e il dislivello non faceva che accrescere la solennità della bottega.
Il protagonista della piazza era però senza dubbio il carretto del fruttivendolo: tutti i giorni arrivava con mele, insalate o angurie, a seconda della stagione, scendendo dalla Via Rocca, e chissà che ogni tanto qualche frutto non gli sia rotolato giù per la Via Porta Dipinta! Il fruttivendolo si posizionava proprio sotto il porticato, e lì attendeva i clienti, che certamente non mancavano, nonostante la vicinanza della concorrenza. 
Dietro al fruttivendolo altre due attvità: il salumiere e il bar. La salumeria mi sembrava di proporzioni gigantesche: a parte il banco dove si acquistavano salumi e formaggi, si poteva poi girovagare tra bottiglie di spuma e pomodoro in scatola, magari in attesa del proprio turno. Quella zona del negozio era piuttosto buia, anche di giorno, e i vari generi alimentari impilati non contribuivano certo a rischiarare il locale. Poi c’era il bar, minuscolo, gestito da una coppia: ricordo soprattutto la macchinetta del gelato, dove si potevano scegliere tre gusti, panna, cioccolato, oppure panna e cioccolato misto: una grande varietà, non c’è che dire! La P. faceva scendere il gelato reggendo il cono e ruotando la mano in modo che il gelato formasse le onde, e il tutto terminava a piramide con un ricciolino che ricadeva all’ingiù: ma sarei riuscita ad arrivare fino a casa senza farlo sciogliere?


Monday, 12 July 2010

Hello everybody, and welcome on my blog!
Today is the 12th July, and it is incredibly hot here in Bergamo, I guess in the Old Town, too. I'm just baking an Apfelstrudel, I know, it sounds crazy, but I like it, plus I've just turned off the oven, so it will be possible to taste it in half an hour or so... I'll write you soon, if you want to write me back you are more than welcome!
Elisabetta

Wednesday, 7 July 2010

Vita in Città Alta 1

Bei tempi, quando la Via San Giacomo era a doppio senso di marcia per le autovetture e le motociclette, e poteva far conto su ben due calzolai, un falegname, un bar latteria, un idraulico e la farmacia, unica sopravvissuta.

Ebbene sì, si parla di circa 30 – 35 anni fa, e, dato lo scarso traffico, la via che una volta conduceva nientemeno che a Milano era attraversata dalle poche auto in entrambi i sensi di marcia: allora si poteva ancora salire con l’automobile dalla Via Sant’Alessandro, poi uno stop proprio sotto la porta San Giacomo per dare la giusta precedenza ai veicoli in transito sul Viale delle Mura e poi via una bella partenza in salita - timore dei neopatentati, ma al tempo stesso una ghiotta occasione per fare pratica… - verso la Via San Giacomo, cercando di tenere bene la destra. Arrivati alla curva ricordo che anche il papà suonava il clacson della nostra vecchia Seicento, non si sa mai che qualcuno stesse lasciando la Città Alta passando proprio di lì, visto che la Via Porta Dipinta, storica direttrice verso Venezia, era a senso unico in salita.

Bei tempi, quando la Via San Giacomo era a doppio senso di marcia per le autovetture e le motociclette, e poteva far conto su ben due calzolai, un falegname, un bar latteria, un idraulico e la farmacia, unica sopravvissuta.


Ebbene sì, si parla di circa 30 – 35 anni fa, e, dato lo scarso traffico, la via che una volta conduceva nientemeno che a Milano era attraversata dalle poche auto in entrambi i sensi di marcia: allora si poteva ancora salire con l’automobile dalla Via Sant’Alessandro, poi uno stop proprio sotto la porta San Giacomo per dare la giusta precedenza ai veicoli in transito sul Viale delle Mura e poi via una bella partenza in salita - timore dei neopatentati, ma al tempo stesso una ghiotta occasione per fare pratica… - verso la Via San Giacomo, cercando di tenere bene la destra. Arrivati alla curva ricordo che anche il papà suonava il clacson della nostra vecchia Seicento, non si sa mai che qualcuno stesse lasciando la Città Alta passando proprio di lì, visto che la Via Porta Dipinta, storica direttrice verso Venezia, era a senso unico in salita.


Con il passare degli anni però il traffico aumenta, resta il senso unico in salita dalla Via Porta Dipinta e San Giacomo ottiene il senso unico in discesa. Non si poteva ancora parcheggiare, nella via, i parcheggi per residenti sarebbero arrivati soltanto qualche anno più tardi, quando ci si rende conto che il pullmann, la domenica, arranca troppo su per la salita di Via Porta Dipinta, specialmente quando deve farsi largo tra i già numerosi turisti, talvolta incuriositi di essere sorpresi alle loro spalle dai nostri autobus gialli. Si volta pagina: dalla Via San Giacomo si può solo salire, o dopo avere costeggiato lo splendido Palazzo neoclassico Medolago, per chi proviene dalla Città Bassa, oppure dopo essersi lasciati Colle Aperto e il Viale delle Mura alle spalle: eccoci su per la salita, tenendo però conto, stavolta, delle poche auto dei residenti parcheggiate sul lato destro, a partire dalla curva in su, quasi fino alla funicolare. Che soddisfazione, poter parcheggiare proprio sotto casa! Ma capitava di rado, le auto aumentavano, veniva creato qualche passo carrabile e c’era già qualche intruso che incurante dei divieti voleva approfittarsi di quei pochi parcheggi.


All’inizio e alla fine della via ecco le due botteghe di calzolaio, con tanto di vetrina: entrambe gestite da due brave famiglie arrivate dal Sud Italia, mostravano pile di scarpe e sandali in attesa di essere riparati o ritirati dagli allora non pochi clienti. Passando fuori dai negozi, in estate, si era avvolti dal profumo del cuoio e delle pelli lavorate, e i pomeriggi erano talvolta segnati dal picchiettio del martello che stava riparando un tacco, e che potevo udire distintamente stando nel soggiorno di casa, al numero 14.

Ma il rumore che proprio non si poteva ignorare era certamente quello del falegname: d’estate la sega elettrica si poteva udire distintamente, indice di una fiorente attività, e quando si costeggiava la falegnameria a piedi, salendo o scendendo, il profumo del legno fresco era veramente avvolgente. Da bambina poi era meglio passare dall’altro lato della strada, per la paura di venire investita da qualche truciolo o da qualche scintilla… ma intanto una sbirciatina dentro non la potevo proprio evitare, e ricordo che adoravo sentire la segatura sotto i sandaletti e quel senso di morbidezza che si provava nel calpestarla!


E poi c’era il bar latteria della Dora: piccolo, come pura minuta era la figurina che lo gestiva, col volto incorniciato dai capelli bianchi e con qualche dente in meno del dovuto. Finchè c’era la luce naturale il locale era spesso buio: forse per risparmiare? Non so, fatto sta che in estate restava aperto anche dopocena, e allora compariva la luce al neon e illuminava tutto il negozietto. Nelle serate più calde si andava a comprare un ghiacciolo o una bananina, e poi si gustava in tutta tranquillità sulle Mura. Quando c’era qualche soldo in più si comprava la Coppa del Nonno, e allora si tornava a casa a gustarla, sperando di farla durare un po’ più a lungo. La coppetta in plastica marrone veniva risciacquata e conservata, si sa mai che potesse venire utile per qualcos’altro…


L’idraulico era pure lui dotato di vetrina che esponeva i vari modelli di rubinetteria: per arrivare a parlare con la signora idraulico bisognava compiere uno slalom tra lavandini e wc, e giungere in fondo al negozio. Ma quando si arrivava da lei si poteva essere sicuri di avere una risposta pronta per qualsiasi evenienza o necessità.


Da non dimenticare che la Via San Giacomo ospitava anche su un’altra categoria di “abitanti”, magari un po’ abusivi, magari non a tutti graditi, anche perché non tenuti a pagare alcun affitto per i “locali” abitati: sto parlando dei piccioni, che a partire dall’imbrunire si rintanavano nelle loro “casette” sul lato destro della strada per chi scende e si potevano udire tubare fino all’accendersi dei lampioni.


L’ultimo palazzo della via, al civico 42, era naturalmente il più spettacolare ed imponente: grazie all’attività di sarta della mamma, che lavorava anche per le famiglie nobili del palazzo, avevo ogni tanto il privilegio di avere accesso agi appartamenti, tramite un sontuoso scalone. E allora era tutto uno sfavillio di specchi, affreschi e mosaici di parquet che ai miei occhi di bambina apparivano magici: in particolare ricordo alcune stanze, le quali contenevano, ciascuna, quattro porte a specchi che davano su altrettante stanze con altrettante porte, e cosi via. Ogni tanto quando la mamma si allontanava con la contessa per le prove dell’abito, e io, che restavo ad aspettarla con la scatola di spilli in un’altra stanza, avevo il timore di essere come in un labirinto e aspettavo con ansia che la porta a specchi si riaprisse per vederla ricomparire.


E cosa dire della casa dove sono nata? Dotata di un bel cortile secentesco, noi bambine avevamo pensato bene, ahimè, di sfruttare le belle colonne in arenaria per il gioco dell’elastico: quando si giocava in due si legava l’elastico attorno alla colonna, da un lato, e dall’altro attorno all’altra bambina, scegliendo la posizione di caviglie, polpacci, ginocchi, sottoculo, vita, ascelle, ecc. a seconda della bravura delle “giocatrici”.

I problemi cominciavano quando si sarebbe dovuto cambiare il “modo”, ossia giocare a “largone”, “strettino” “un piede”, ecc.: chi glielo spiegava alla colonna che avrebbe dovuto stringersi od allargarsi a seconda delle nostre esigenze? Era meglio accontentarsi… E se giocavo da sola potevo far conto comunque su due belle colonne almeno per allenarmi un po’… e poi volete mettere? Si poteva anche barare senza rischiare nulla! La conformazione del cortile poi, con scalini e scalette, ben si adattava anche al gioco del toc, del toc rialzo, del nascondino, mentre gli alti gradini in pietra erano la nostra palestra di allenamento per saltare: quando riuscivamo a saltare tutta la rampa di otto scalini con relativa rincorsa preparatoria potevamo ritenerci soddisfatte.